Dr. Roberto Gorla U.O. Reumatologia Azienda Spedali Civili Brescia.

Negli anni ’90 si è modificato radicalmente l’approccio terapeutico dell’artrite reumatoide (AR) e il destino dei malati che era allora inesorabilmente votato alla disabilità. L’infiammazione articolare cronica, con dolore, rigidità e tumefazione persistente, esitava in deformazioni articolari multiple, perdita di capacità funzionale e riduzione progressiva della qualità di vita. Il 50% dei malati non era più abile al lavoro entro tre anni dall’esordio dei sintomi. Oltre alle articolazioni venivano negli anni coinvolti dal processo infiammatorio altri organi e tessuti e si accelerava il processo aterosclerotico che predisponeva ad accidenti cerebro-cardio-vascolari, responsabili della riduzione dell’aspettativa di vita. I farmaci allora a disposizione erano orientati a lenire i sintomi: anti-infiammatori, cortisonici e sali d’oro. Questi farmaci, impiegati quotidianamente, erano gravati da numerosi effetti collaterali.
Negli anni ’90 erano iniziate le prime sperimentazioni di farmaci come la ciclosporina e il methotrexate. Fare sperimentazioni cliniche comportava, per la prima volta, l’adozione necessaria di un nuovo modo, condiviso tra tutti gli sperimentatori, di misurare l’artrite, la sua evoluzione e l’effetto terapeutico dei farmaci. La rilevazione (identica in tutti i centri di reumatologia) dei parametri clinici che consentivano una misura dell’attività di malattia ha posto le basi alla dimostrazione scientifica dell’efficacia e sicurezza di impiego dei farmaci. Ciò ha portato alla diffusione dell’impiego del farmaco methotrexate che si è dimostrato il trattamento più efficace nel dominare l’infiammazione reumatoide.
Negli anni ’90, grazie alle nuove metodologie di valutazione clinica, si è iniziato a osservare che la terapia iniziata precocemente dopo l’esordio della malattia, offriva maggiori possibilità di rallentare l’evoluzione distruttiva dell’artrite. Sono entrati nel lessico dei reumatologi nuovi concetti: terapia precoce, terapia aggressiva e di combinazione. Per una malattia grave si era finalmente capito che era necessaria una terapia vigorosa.
Negli anni 90 la grande novità è arrivata dalla ricerca immunologica che ha dimostrato come nell’artrite reumatoide si verifichi una perturbazione del sistema immunitario con la rottura dell’equilibrio fisiologico tra proteine pro-infiammatorie (che alimentano l’infiammazione) e proteine anti-infiammatorie (che inibiscono l’infiammazione). L’incremento cronico delle proteine pro-infiammatorie è responsabile dell’auto-mantenimento dell’infiammazione, della sua cronicizzazione.
Queste nuove conoscenze hanno permesso la sintesi dei primi farmaci biologici, frutto della applicazione delle più innovative tecniche biotecnologiche, e la loro sperimentazione sui malati di artrite.
Alla fine degli anni ’90 i biologici anti-TNF erano disponibili per la terapia dei malati con artrite più severa e resistente ai farmaci convenzionali. La loro efficacia e velocità di azione era significativamente maggiore di ogni farmaco fino ad allora impiegato per la terapia delle artriti.
La Reumatologia e Immunologia Clinica degli Spedali Civili di Brescia, partecipante attiva alle sperimentazioni cliniche dei farmaci biologici, è stato uno dei primi centri in Italia ad impiegare questi farmaci e a dimostrare nella pratica clinica la loro efficacia.
All’inizio del nuovo millennio a Brescia iniziavano i primi corsi ai medici di famiglia per favorire la diagnosi precoce di artrite e l’immediato invio del malato allo specialista.
La diagnosi tempestiva e la terapia precoce con farmaci convenzionali, all’esordio dei sintomi, può offrire al malato la remissione. Questo nuovo termine indica il raggiungimento di una condizione priva di sintomi e di infiammazione, nonostante la necessità di proseguire i farmaci continuativamente.
La remissione è oggi l’obiettivo primario da perseguire nella terapia dell’artrite e va sorvegliata e consolidata mediante uno stretto monitoraggio del paziente. Questo comportamento di sorveglianza attiva è stato denominato tight control ed è a garanzia contro l’evoluzione del danno articolare.
Al momento in cui scrivo questo articolo sono disponibili almeno 7 farmaci biologici in grado di interferire e controllare più momenti patogenetici delle artriti.
I loro costi elevati hanno indotto le regioni ad una precisa regolamentazione del loro impiego e al monitoraggio della spesa.
In Regione Lombardia è stato instituito un gruppo di lavoro composto da reumatologi e da rappresentanti dei medici di famiglia, delle ASL e delle aziende ospedaliere. Nel 2014 è stato pubblicato il “percorso diagnostico terapeutico e assistenziale (PDTA) per la diagnosi precoce ed il buon uso dei farmaci per la cura dell’artrite reumatoide”.
Sono cominciati gli incontri tra reumatologi e medici di famiglia per la divulgazione e condivisione del PDTA.
Da marzo 2015 è disponibile il primo farmaco biotecnologico biosimilare di Infliximab. Dopo un anno del suo impiego in terapia possiamo affermare che Infliximab originale ed Infliximab biosimilare sono equivalenti, sia come efficacia che come profilo di sicurezza. Il prezzo inferiore di commercializzazione permette risparmi che possono essere reinvestiti per garantire terapie innovative a più persone e a costruire le reti assistenziali periferiche necessarie all’abbattimento delle liste di attesa per visite reumatologiche.
Spesso i farmaci non sono sufficienti a garantire un miglioramento complessivo del benessere dei malati. Per questo motivo è stata ed è preziosa la collaborazione con l’associazione dei malati. Con l’ABAR è stato possibile realizzare i corsi, rivolti ai malati, sulla aderenza terapeutica e i progetti educazionali volti alla correzione degli stili di vita. Con la realizzazione della “casa per la salute” vengono attuati i supporti di medicina complementare a tutti i malati che ne abbiano necessità, su indicazione dei reumatologi del centro ospedaliero.